Capodanno e altri disturbi

di Daniele Besomi

 

Durante l’inverno, in particolare nei giorni freddi, le api se ne stanno tranquille nel loro nido, limitandosi a regolare i parametri vitali della colonia entro limiti accettabili. Tuttavia, può succedere che siano occasionalmente disturbate, per esempio da qualche animale di passaggio, da rami caduti da alberi nelle vicinanze, ma anche da interventi dell’apicoltore. Quali sono le conseguenze?

Somministrazione di sciroppo tra i favi

Capita di somministrare una soluzione zuccherina tra i favi —per esempio quando si effettua un trattamento a base di acido ossalico sgocciolato, o somministrando preparati come ApiHerb. Ho imitato questa operazione effettuandola nel modo meno invasivo possibile: solamente sollevando i coprifavi e sgocciolando 55 ml di sciroppo 1:1, in parte tra i favi e in parte sulla barra superiore, in giorni in cui le api non volavano (per non sovrapporre il loro sforzo di volo alla reazione all’intervento), su due coppie di arnie —una coibentata, l’altra no—, in una di queste coppie due volte. Ho registrato le variazioni di temperatura, e in un caso anche il  metabolismo delle api misurato dalla produzione di CO2. I sensori di temperatura e umidità sono beepro.ch per una coppia di arnie (5 sensori ciascuna, posti tra i favi a spazi alterni), e Sensirion Smartgadget per la seconda (2 sensori, inseriti ciascuno dentro un favo), mentre i sensori di CO2 sono Sensirion SCD41 gadget, poggiati sul fondo dell’arnia sotto il glomere.

            I risultati sono essenzialmente identici nelle 3 coppie di misurazioni, e ne riporto pertanto solo una. Al momento dell’apertura del coprifavo, le api si pongono in stato di allerta, sollevando l’addome e mostrando il pungiglione, senza tuttavia alzarsi in volo. È chiaro, però, che l’intenzione è di prepararsi a farlo qualora si rivelasse necessario, cosa che richiede di portare la temperatura della muscolatura toracica a 35°C. Questo comporta creazione e diffusione di calore e l’accelerazione del metabolismo delle api, ed entrambi questi effetti si vedono chiaramente sui grafici.

                        I dati sul metabolismo indicano che la reazione delle api è immediata ma di relativamente breve durata: la concentrazione di anidride carbonica sale dal livello normale attorno ai 1'000 ppm con punte fino a circa 8'000 ppm per raggiungere un picco di quasi 20'000 ppm (arnia non coibentata) e oltre 30'000 ppm (arnia coibentata), per tornare in 2-3 ore ai livelli normali. La produzione di calore avviene dunque in questo lasso di tempo, in particolare nella prima mezz’ora, poi poi il calore rimane nell’arnia per inerzia termica: viene accumulato nel legno, nel miele e nel corpo delle api per essere infine gradualmente disperso.

fig. 1 apertura dellarnia dinverno

Corrispondentemente, la temperatura sale immediatamente dai circa 25°C prima dell’intervento a quasi 31°C, salvo un sensore che era già a 26.8° ed è salito al medesimo livello degli altri. Nell’arnia non coibentata, questo calore ha iniziato a dissiparsi dopo 1-3 ore, tornando gradualmente alla sitazione precedente il disturbo in circa 12 ore. Nell’arnia coibentata, le temperature iniziali sono rimaste al di sopra di 29°C per circa 8 ore, cominciano poi lentamente a rientrare verso livelli normali impiegando però circa 36 ore. Poiché non c’è ragione di pensare che le api delle arnie coibentate si siano innervosite maggiomente delle altre in tutti e tre gli esperimenti condotti, se ne deve concludere da una parte che la coibentazione rallenta molto efficacemente la dispersione di energia, ma anche che quest’ultima è molto maggiore di quanto suggerirebbero i dati dell’arnia non coibentata.

           

C’è qualcuno (vivo) in casa?

L’intervento di apertura della cassa rimane comunque piuttosto invasivo. Consideriamo ora un disturbo che non comporta l’esposizione del nido.

Il grafico seguente mostra le conseguenze dell’applicazione di una vecchia tecnica per verificare che le api siano vive durante l’inverno, che consiste nel bussare sulla parete frontale per ottenere il rumore associato alla ventilazione da parte delle api. Ho effettuato le misure in un giorno freddo e uggioso (temperatura -1.2°C, con nevischio: linea nera del grafico), sempre per evitare che il calore legato al volo delle api interferisse con le misure.

Oltre alla temperatura, ho misurato anche il livello di CO2 (Sensirion SCD41 gadget).

Quest’ultimo dato mostra la variazione più evidente: la ventilazione che si sente in risposta alla percussione causa un aumento del metabolismo delle api, che porta il livello di anidride carbonica da meno di 2'000 parti per milione a più di 23'000 in 12 minuti. Si consideri che il CO2 è più denso dell’aria e che il sensore era poggiato sotto il glomere sul  fondo dell’arnia, per cui i valori sono registrati con qualche minuto di ritardo. La temperatura al centro del glomere (misurata dai 3 sensori centrali, corrispondenti alle tre linee più in alto nel grafico) aumenta di 6.5°C in 40-50 minuti, mentre il sensore più verso la periferia del glomere registra un incremento molto rapido di 3.9°C in 15 minuti, al quale però non segue un riscaldamento successivo. Il sensore situato all’esterno del glomere (linea rossa) mostra dapprima una diminuzione, probabilmente legata al fatto che la ventilazione della api ha espulso un po’ di aria calda dall’arnia richiamando al suo posto aria più fredda, poi un leggero aumento (1.5°C) causato dalla diffusione del calore prodotto al centro del glomere. Lo stato di surriscaldamento è durato circa 3 ore nelle parti centrali dell’arnia e almeno 6 ore nelle parti periferiche.

Fig. 2 bussando alla porta dellarnia

Questo grafico assomiglia parecchio al precedente. In effetti l’incremento di temperatura in seguito al disturbo è del medesimo ordine di grandezza, attorno ai 6°C. Tuttavia la durata del rialzo in seguito al colpo di nocca è inferiore rispetto all’apertura dell’arnia non coibentata: 3- 6 ore contro 8-9 ore, rispettivamente, per tornare al livello registrato al momento del disturbo.

Ripetendo l’esperimento i risultati sono stati simili a quello illustrato nel grafico, ma solo fintanto che non c’era covata. Dopo di che, con la temperatura interna già attorno ai 35°C, le api sono già pronte al volo e non hanno bisogno di agitarsi.

Buon anno!

Consideriamo ora un disturbo che non comporta neppure un contatto con l’arnia. Il grafico seguente rappresenta gli effetti dei botti del capodanno scorso, rilevati su 2 arnie (due con 5 sensori beepro.ch, dati registrati ogni 2 minuti, le altre due con 2 sensori Sensirion Smart Gadget SHT31, dati ogni minuto). Alcuni fuochi d’artificio sono esplosi nei paraggi dell’apiario un paio di minuti dopo la mezzanotte. Ne è risultato un aumento di temperatura registrata in tutte le arnie monitorate—il che esclude un contatto diretto dovuto, per esempio, al cadere del legno del razzo sul tetto di un’arnia.

La temperatura esterna era di circa 6.5°C (notevolmente caldo per la stagione a 900 msm). La reazione alle vibrazioni dell’aria causate dal botto sono state appena visibili nella zona centrale dei glomeri  (le tre linee più in alto), nettamente percepibli nella parte intermedia del glomere (fascia tra 14 e 19°C) dove le temperature sono aumentate di quasi 1°C, con un po’ di ritardo nella fascia più esterna, mentre non sono state percepibli nella zona periferica del glomere (temperature < 12°C, non riportate nel grafico). Diverse di queste arnie avevano anche un sensore di CO2; in nessuna di esse, però, è rilevabile un aumento del tasso metabolico in corrispondenza del botto.

Fig. 3 capodanno

Conclusione

Tutti i disturbi arrecati alle api comportano delle conseguenze in termini di temperatura e, se sufficientemente intensi, anche di accresciuto metabolismo della api. Questo comporta un accresciuto consumo di miele, e anche qualche rischio per la sopravvivenza della colonia se il disturbo è sufficientemente intenso e seguito da un periodo di freddo che non permette alle api di riorganizzarsi.

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