Favo caldo o favo freddo?

Il primo favo nella quercia, di cera immacolata, si è potuto intravvedere tra le api il 14 maggio, cioè 10 giorni dopo l'installazione dello sciame:

quercia favo 1

Qualche giorno dopo, il 18 maggio, ne è comparso un secondo, la densità delle api si è diradata, e l'estensione dei due favi è diventata visibile:

quercia favo 2    quercia favo 3

Le immagini mostrano che i favi sono quasi paralleli al vetro di osservazione, in una configurazione che gli apicoltori chiamano "a favo caldo" presupponendo che il favo più vicino all'entrata intercetti l'aria fredda proveniente dall'esterno e schermi i favi successivi, dunque mantenendoli più al caldo. Questa disposizione dei favi dovrebbe dunque favorire le api nel loro processo di termoregolazione, il che porterebbe ad aspettarsi che la selezione naturale favorisca le api che orientano in favi in parallelo all'entrata del nido.

Tuttavia, la colonia nel tronco di castagno porta immediatamente un controesempio. Per quanto la colonia fosse piccola, il 24 maggio (una settimana dopo l'inserimento della colonia) si poteva già vedere un abbozzo dei favi, appiccicati alla finestra di osservazione. Qualche giorno più tardi lo schema è diventato evidente: le api hanno costruito i favi quasi perpendicolari al  plexiglas, cioà —nel gergo degli apicoltori— "a favo freddo"

castagno favo 1  castagno favo 3  castagno favo 4

Questa non sembra essere un'anomalia. Thomas Seeley, probabilmente lo studioso che nella sua lunga carriera ha avuto modo di esaminare più nidi naturali, in risposta alla domanda di un partecipante ad una sua conferenza ha detto di aver visto favi puntare in tutte le direzioni rispetto all'entrata [1]. Questo dato è stato originariamente riportato dallo stesso Seeley con Morse nel loro resoconto sui nidi naturali rinvenuti nella loro ricerca nelle foreste di Ithaca: il piano di allineamento dei favi nei nidi naturali esaminati era distribuito casualmente sia rispetto all’entrata del nido che rispetto alla terra [2]. Gli autori ricordano che la questione era già stata esaminata col medesimo esito da UlrichLindauer e Martin avevano trovato che le api hanno una forte disposizione a mantenere l’orientamento rispetto all’asse terrestre del loro nido precedente. De Jong è partito da questa conclusione: ha rilocato sciami ‘selvatici’ in nuove strutture cilindriche dopo che avevano iniziato a costruire i favi, e hanno tutte costruito mantenendo il medesimo orientamento. Applicando un campo magnetico che riorientava, nel nuovo nido, i campi di forze, De Jong ha mostrato che le api riorientavano i favi in misura corrispondente, il che suggerisce che per decidere come orientare i favi le api usano proprio i campi magnetici,[3e non la direzione dell’apertura di volo.

Non si tratta, naturalmente, di una regola ferrea: le api nei due alberi hanno mantenuto grossomodo la medesima direzione di quella che avevano lasciato nel nido precedente, ma non l'hanno riprodotta con esattezza. Nell'arnia di partenza dello sciame nella quercia, i favi sono orientati a 207° in direzione sud-ovest, nell'albero a 268° sud-ovest; quindi, medesima direzione generale, ma una deviazione di circa 60°. Nell'arnia di partenza dello sciame nel castagno, l'orientamento è 146° sed-est; nell'albero, 169° sud-est: di nuovo abbiamo la medesima direzione, con una deviazione di poco più di 20°.

Una delle ragioni di queste deviazioni può risiedere nei vincoli architettonici che le api trovano nel cavo dei rispettivi alberi. Tre delle facce del nido consistono in pareti più o meno lisce e piane, e grossomodo perpendicolari tra loro, il che potrebbe suggerire alle api di muoversi parallelamente (o perpendicolarmente) a una delle tre facce dell'incavo. Nella quercia è difficile giudicare, non potendo vedere come si sviluppano i favi davanti all'ultimo che blocca la visione. Nel castagno, però, si vede che i favi sono grossomodo paralleli alla parete di destra (cioè sul lato dove hanno iniziato a costruire), risultano così quasi perpendicolari al plexiglas di osservazione (più precisamente, formano con quest'ultimo un angolo di 84°).

Occorre poi chiedersi se l'orientamento a "favo caldo" rifletta effettivamente una maggiore conservazione di calore. Ho effettuato 3 test su arnie a favo caldo e favo freddo, ottenendo risultati poco significativi o addirittura contraddittori.

Il primo test è stato quello di lasciare arnie con favi ma senza api esposti alle fluttuazioni della temperatura esterna, giorno e notte per diversi giorni durante l'inverno, registrando come queste si riflettono in fluttuazioni di temperatura all'interno [4]. Per un errore di design dell'esperimento sulle arnie Dadant, l'unico confronto utile riguarda due arnie Warré, che come i cavi degli alberi hanno uno sviluppo verticale su una base stretta, a differenza delle arnie Dadant che hanno uno sviluppo orizzontale su base larga; la sola forma contribuisce a dare un notevole vantaggio termico all'albero, a prescindere dal grado di coibentazione del materiale. Una delle arnie è a favo caldo, l'altra a favo freddo. Nelle giornate soleggiate invernali, l'arnia warré a favo freddo mostra un'escursione termica superiore di 2°C rispetto a quella dell'arnia identica ma con i favi orientati a favo caldo. Si ha dunque un leggero beneficio con il favo caldo.

Il secondo esperimento (dati non pubblicati) è consistito nel confrontare le temperature registrate all'interno dell'arnia in colonie di api collocate in nidi a favo caldo e a favo freddo. Poco sorprendentemente, misurando in due punti del glomere non sono risultate differenze di rilievo: le api, infatti, termoregolano, così che le temperature si comportano in modo simile. Quello che avrebbe potuto cambiare (ho scoperto in seguito [5]) è la distribuzione delle temperature (cioè, essenzialmente, il grado di compressione del glomere), ma non ho effettuato misure in tal senso.

Il terzo test ha misurato gli effetti di un riscaldamento posto all'interno di un'arnia, tra i favi.[6] Il riscaldamento era controllato da un termostato che permetteva l'accensione del riscaldamento a 31°C e chiudeva la corrente a 36°C, forzando così delle oscillazioni delle temperature registrate all'interno dell'arnia tra 31 e 36°. La maggiore efficienza energetica si misura nei tempi di riscaldamento e di raffreddamento: meno ci si mette a scaldare, e più tempo è impiegato nel raffreddamento, tanto più l'energia si conserva. Qui le differenze registrate tra un'arnia Dadant da 10T a favo freddo e un'arnia da 12T (ma con un diaframma a chiudere dopo la decima posizione) sono molto ridotte: riportando sulle 24 ore, il favo freddo risparmia circa il 2% di energia rispetto al favo caldo; la differenza probabilmente riflette più il fatto che il diaframma non chiudeva perfettamente, così che in realtà il volume da riscaldare era maggiore per l'arnia a favo caldo, con costi energetici superiori. Si tratta, insomma, di un risultato non conclusivo, che richiede di effettuare nuove misurazioni in una prossima occasione, impiegando una medesima arnia (da 12) con i due orientamenti.

Le differenze termiche tra arnie a favo caldo e favo freddo sembrano dunque (in attesa di nuovi dati) troppo sottili per essere convincenti. Non è dunque sorprendente che la scelta di una o dell'altra configurazione non sia stato un fattore di selezione naturale significativo quando le api possono scegliere tra cavità naturalmente ben coibentate. Questo non  esclude che in nidi artificiali poco coibentati e dalla forma sfavorevole anche un piccolo aiuto possa rivelarsi importante.

 

Riferimenti

[1] T. Seeley, The Bee Hive as an Information Centre, National Honey Show (2017), minuto 1:03:00.

[2] T. D. Seeley e R. A. Morse, The nest of the honey bee (Apis mellifera L.), Insectes Sociaux vol. 2:6, 23: 4, (495-512), 1976, p. 504.

[3] M. Lindauer e H. Martin, Magnetic effect on dancing bees, animal orientation and navigation, NASA US Government Printing Office, Washington, 1972, p. 564. D. De Jong, Orientation of Comb Building by Honeybees, Journal of Comparative Physiology A, 1982, 147, pp. 495-501. Per una discussione di questi aspetti si veda H. R. Hepburn, C. W. W. Pirk e O. Duangphakdee, Honeybee Nests. Composition, Structure, Function, Berlin: Springer, 2014, cap. 10.

[4] D. Besomi, L'ape e l'architettura, L'apis 1, gennaio 2021

[5] D. Besomi, La coibentazione dell'arnia. L'apis, giugno 2023, Dossier.

[6] Per una descrizione dettagliata della procedura e dei risultati, v. D. Besomi, La coibentazione dell'arnia. L'apis, giugno 2023, Dossier.

 

 

 

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