Vite da sciami

Questo blog racconta la vita di due sciami d'api.

Il primo è stato raccolto il 4 maggio 2023 e sistemato in un tronco di quercia, appositamente scavato e munito di sensori di temperatura, umidità e anidride carbonica, chiuso sul lato posteriore da una lastra di plexiglas che permette l'osservazione, con un nutritore per aiutare le api a partire e nei momenti di bisogno.

Il secondo è uno sciame secondario uscito dalla sua arnia un paio di settimane più tardi, il 17 maggio, ed è stato collocato in un tronco di castagno, capitozzato ma vivo, anch'esso scavato allo stesso modo e munito di due sensori di temperatura, con pannello di osservazione e la possibilità di nutrire.

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La preparazione del nido nella quercia e le sue proprietà termiche (aprile 2023)

Il nido che accoglierà lo sciame è costruito in un tronco di quercia alto 180 cm e di circonferenza al petto di 170 cm. Lo scavo è stato effettuato sul lato posteriore, lasciando pareti laterali dello spessore medio di circa 15 cm, e la parete frontale di oltre 18 cm. La cavità è larga circa 27 cm, alta 60 e profonda 35.

 

quercia 1  quercia 3  

 

Lo spazio utile per le api, però, è ridotto dal coprifavo (a partire dal quale le api costruiranno i favi), ma che ha l'apertura per il nutritore e lo spazio utile per sostituire le pile dei datalogger quando necessario, e dalla rientranza necessaria per la lastra di plexiglas per poter osservare le api e un po' di materiale isolante per impedire la dispersione di calore dal retro. Restano poco più di 40 litri, cioè il volume indicato dalle ricerche di Seeley sulle preferenze degli sciami [1] (a titolo di paragone, un'arnia Dadant ha un volume interno di circa 52 litri).

Al centro della cavità è sistemata una colonna che porta e protegge i sensori. Si tratta di due sensori di temperatura e umidità relativa Sensirion SHT4x smart gadget, collocati nella parte centrale della colonna a due altezze diverse e isolate dal fondo da uno spessore di polistirolo, e da tre sensori che misurano la concentrazione di anidride carbonica Sensirion SCD41 CO2 gadget, nelle parti sporgenti della colonna. Naturalmente sono stati praticati dei fori per lasciar passare l'aria, ricoperti con del velcro per impedire la propolizzazione. Le immagini mostrano la costruzione della colonna; l'ultima mostra il posizionamento nella cavità, e indica le posizioni alla quali sono rilevati i dati.

 

sensori 1 sensori 2 sensori 3

 

sensori 4  sensori 5    

 sensori 6

Per finire, il lato posteriore è chiuso da un plexiglas (fissato, ovvimente, solo dopo l'inserimento dello sciame), ricoperto da uno strato di materiale riflettente e 3 cm di polistirene estruso. La chiusura è effettuata riposizionando la fetta di tronco ritagliata all'inizio. A protezione della testa del tronco c'è una lamiera che impedisce il passaggio dell'acqua.

quercia 4 quercia 5 quercia 6 quercia 7

 

Le proprietà termiche del tronco

Lo spessore del legno del tronco, essendo circa 5-6 volte superiore a quello del legno di una comune arnia commerciale, isola molto meglio delle cassette nelle quali sono comunemente alloggiate le api. Al mantenimento di una temperatura più costante contribuiscono anche la forma della cavità, stretta e protratta verso l'alto anziché larga e bassa, e l'effetto di accumulazione di calore esercitato dalla massa del legno, che assorbe energia quando fa caldo e la rilascia lentamente quando fa freddo.[2]

I sensori sono stati attivati un paio di giorni prima che fosse inserito lo sciame (in realtà avrei voluto qualche giorno di test in più, ma lo sciame è partito in anticipo sul previsto). Il grafico mostra le oscillazioni della temperatura esterna (linea blu) e della temperatura interna al tronco: come si vede, all'interno la temperatura è molto più stabile di quanto non lo sia fuori, con oscillazioni tra 12 e 17°C all'interno contro un'escursione tra 5 e 20°C all'esterno. Questo, peraltro, era prima che mi accorgessi che il solo polistirene non isolava sufficientemente bene e che inserissi il foglio di riflettente.

temperature a vuoto

Per paragone, il prossimo grafico rappresenta le fluttuazioni di temperatura esterna e interna a un'arnia di legno senza api e senza  favi, misurate in un'occasione diversa a pochi metri di distanza dalla posizione attuale del tronco. Il grafico mostra bene come l'escursione termica all'interno sia superiore rispetto a quella esterna, con le minime praticamente identiche alla temperatura ambiente e diversi gradi mentre durante le ore di sole si accumulano diversi gradi di temperatura in più, che però non sono ritenuti dal legno e si disperdono in breve tempo. Insomma, l'arnia di legno ripara dalla pioggia, ma non dalle fluttuazioni di temperatura che, anzi, amplifica.

Poiché le api dovranno mantenere la temperatura costante quando avranno covata, partire da una temperatura di base più stabile richiede meno sforzi di regolazione di quanto non sia necessario a fronte di oscillazioni molto ampie.

Temperatura arnia vuota

 

Anche l'umidità relativa oscilla meno dentro il tronco di quanto non accada all'esterno e nella cassetta di legno. Il primo grafico mostra l'umidità misurata dai due sensori nel tronco, ancora più stabile di quanto lo sia la temperatura interna, oscillando tra il 60 e il 70% a fronte di un'escursione all'esterno tra 35 e 95%. Considerando che i valori di umidità relativa desiderati dalle api si situano tra il 50 e il 75% [3], la stessa struttura fisica del tronco garantisce una buona regolazione senza che le api debbano fare alcuno sforzo (il sensore più in basso, essendo vicino all'entrata e dunque a contatto con più aria umida proveniente dal'esterno, rileva oscillazioni maggiori del sensore al centro). Il grafico riporta anche, per riferimento, la temperatura esterna:

 

RH tronco vuoto

Nell'arnia in legno senza favi, le oscillazioni dell'umidità relativa sono invece parecchio più ampie, anche se minori rispetto all'esterno. Anche se raramente salgono sopra il limite massimo del 75% desiderato dalle api, frequentemente scendono al di sotto del minimo, imponendo uno sforzo di regolazione da parte degli insetti.RH arnia vuota

 

Riferimenti bibliografici 

[1] T. Seeley, La democrazia delle api, Edizioni Montaonda, cap. 3    [torna al testo]

[2] D. Besomi, L'ape e l'architettura, L'apis, Novembre 2020, dicembre 2020 e gennaio 2021; e La coibentazione dell'arnia, L'apis dossier, aprile/maggio 2023.   [torna al testo]

[3] per esempio M. B. Ellis, Homeostasis: Humidity and water relations in honeybee colonies (Apis mellifera), tesi di master Sc., Department of Zoology and Entomology Faculty of Natural and Agricultural Sciences University of Pretoria Pretoria, November 2008.    [torna al testo]

 

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L'installazione dello sciame (4 maggio 2023), e la prima settimana

Il pomeriggio del 3 maggio, da un'altra arnia di osservazione è partito uno sciame contenente una regina fertile. Il giorno successivo l'ho catturato e riposto nella quercia, che fino alla prossima sciamatura costituirà la sua dimora. A differenza delle api alloggiate in arnie commerciali, queste api dovranno arrangiarsi e arredarsi interamente da sé il proprio nido, totalmente libere di seguire il proprio istinto nella scelta delle distanze, nel posizionamento e nella direzione dei favi.

Nota preliminare: Uno sciame secondo natura?

Va comunque notato che per quanto le api siano libere di organizzarsi il nido come meglio credono, quanto accadrà e sarà descritto in questo blog non riguarda uno sciame lasciato completamente a se stesso. Le api saranno nutrite quando necessario, e saranno trattate contro l'acaro ectoparassita Varroa destructor.

La nutrizione si è immediatamente rivelata indispensabile, in quanto nelle condizioni climatiche attuali praticamente non c'è cibo, e non avrebbero dunque la forza di costruire i favi (un processo altamente energivoro [1]) e probabilmente neanche di nutrirsi. In natura, il tasso di successo di uno sciame di aggira attorno al 20% [2], proprio perché il periodo in cui sciamano spesso è caratterizzato da tempo relativamente freddo e piovoso.

Senza trattamenti antiparassitari, le probabilità di successo sono ancora minori, e di parecchio. In un'arnia di osservazione, ha senso proteggere l'investimento di tempo dedicato alla costruzione della struttura difendendo la vita delle api a scapito dei processi di selezione naturale.

Al di fuori di queste circostanze, è giusto ragionare sull'opportunità di minimizzare gli interventi: v. per esempio l'articolo di Reto Mordasini su queste pagine e la letteratura ivi citata.

Lo sciame

Lo sciame che abita la quercia è ritratto nella foto. Sullo sfondo, dietro il ciliegio in fiore, si intravvede la nuova casa:

sciame

Poiché non è semplice fare dei trattmenti antivarroa una volta che lo sciame è rinchiuso nell'albero, meglio cominciare puliti e trattare prima di partire (acido ossalico, soluzione al 3% in acqua e glicerolo):

trattamento sciame

I primi giorni nel nuovo nido

Una volta inserite nel nido, le api si sono dapprima ammassate sul fondo, e solo lentamente hanno risalito la parete frontale. Qualcuna si è avventurata all'esterno, ma non la regina: per evitare che lo sciame ripartisse, ho messo una griglia escludiregina all'entrata (abbastanza larga per lasciar passere le api ma troppo stretta per permettere il passaggio della regina), dove l'ho lasciata un paio di giorni.

sul fondo

La sera del 5 maggio le api si sono raggruppate in cima al nido, aggrappandosi al coprifavo, al plexiglas e alla parete laterale

in alto 1

La costruzione dei favi

In un certo senso, stavano ancora esplorando (collettivamente) il loro spazio. Il giorno dopo, è iniziata l'attività di costruzione: all'inizio, l'unico segno visibile è l'ordine stretto in cui si sono allineate le api più in alto nella foto successiva, mentre buona parte delle api sembra ammassata disordinatamente.

La foto mostra anche parecchia condensazione sul plexiglas, data dalla forte differenza di umidità e temperatura tra interno e esterno (v. più avanti), e segno che qualcosa non funzionava nella coibentazione. Ho rimediato ponendo uno strato di materiale isolante e riflettente tra il plexiglas e il polistirolo (v. articolo precedente per una descrizione), e il problema non si è più posto.

in alto 2

L'attività edilizia diventa evidente il giorno successivo (siamo ormai all'8 maggio, il terzo giorno dall'inserimento), quando le api iniziano a formare le 'catenell' che regolarmente accopagnano la costruzione dei favi. La loro funzione non è ancora del tutto chiara, anche se probabilmente serve (anche) a tracciare le linee per la costruzione [3]. Le api formano queste catene attaccandosi l'una all'altra, lasciando che la gravità determini la forma e delo sviluppo della catena (in geometria, si chiama 'catenaria'). Le prossime foto illustrano questo peculiare comportamento:

catena 1  catena 2

Le api non  impegnate nella costruzione dei favi, intanto, inizano a portare polline nelle loro corbicole: segno che al centro del glomere delle api si è creato lo spazio per depositarlo, e che la regina ha già ripreso a deporre. Il polline infatti è l'alimento che serve da alimento per le larve e per fare la pappa reale destinata alla regina e alle larve più giovani:

primo polline

Il 10 giugno i favi non si vedono ancora in quanto sono sempre nascosti dalla massa di api, ma è chiaro che il volume del glomere cresce rapidamente, come risulta dall'immagine seguente. Questo indica che non racchiude più più solo api, ma che parte dello spazio è occupato dalle costruzioni in cera:

sciame al 10 maggio

 

I parametri fisiologici dei primi 6 giorni

I sensori inseriti al centro dello spazio del tronco (vedi la configurazione) non sono ancora al centro del glomere: come mostrano le immagini sopra, le api sono spostate più sul lato sinistro del cavo e, sembrerebbe, arretrate piuttosto che verso il lato frontale. Le registrazioni colgono dunque quanto accade alla periferia piuttosto che al centro del glomere. Questa situazione probabilmente persisterà per qualche tempo. Inoltre c'è stato un problema ad uno dei sensori, per cui mancano i dati di 3 giorni. Tutti gli altri dati sono raccolti ogni 2 minuti.

Nonostante questi problemi, è chiaro che la temperatura si è alzata subito al momento dell'inserimento dello sciame, passando dai 13.8°C  del tronco vuoto ai 20-24° mantenuti il primo giorno, quando le api erano in basso e poi sulla patete frontale (dunque lontano dal sensore). Il momento in cui si sono spostate verso il centro può essere identificato facilmente grazie all'improvviso aumento della temperatura registrato alle 18:08 del 5 maggio. Da quel momento le temperature sono rimaste sopra i 25°, con il sensore più in alto (verso il centro della colonna di misurazione) che registra circa 3°C più del sensore in basso:

primi 6 giorni T 

Come occorreva attendersi, l'umidità relativa  mostra una stabilità nettamente superiore rispetto a quella registrata all'esterno. Dopo l'inserimento delle api, il valore è cresciuto, certamente grazie alla loro attività metabolica:

primi 6 giorni RH 

 L'anidride carbonica, infine, mostra un andamento relativamente complesso, ma chiaramente ciclico, con valorei più alti registrati durante la notte e più bassi durante il giorno, almeno nei giorni di bel tempo (gli ultimi due giorni rappresentati nel grafico sono stati caratterizzati da tempo uggioso, come si evince sia dai valori molto elevati dell'umidità relativa all'esterno che dai valori abbastanza uniformi della temperatura ambientale)

primi 6 giorni CO2

 

 Riferimenti bibliografici

[1] costruzione favi, processo energivoro

[2] Seeley sul 20% di successo di uno sciame

[3] Tautz sulle catenelle

 

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Il nido nel castagno e le sue proprietà termiche

L'albero di castagno, capitozzato al momento di un dirado in un bosco, è stato intagliato nel 2021. Il primo anno non è stato abitato (il che ha permesso di misurare su un lungo periodo le fluttuazioni di temperatura all'interno e confrontarle con quelle esterne), il secondo anno —sempre per mancanza di sciami— è rimasto vuoto fino alla fine di agosto 2022, poi è stato occupato da una piccola famiglia di calabroni fuori stagione (evento del tutto strano, probabilmente legato all'estate molto calda e secca che ha alterato i ritmi di piante e animali); a fine autunno, quando se ne sono andati i calabroni, il nido è stato occupato da un topo campagnolo, che vi ha portato una scorte di castagne. All'inizio della primavera ha distrutto il nido di calabroni per  costruire il proprio nido, ma l'ho espulso prima che costituisse la propria famiglia. Tolti i residui lasciati dal topino (solo gusci di castagno e la carta del nido di calabroni, ma nessun escremento), il 17 maggio 2023 ho inserito un piccolo sciame con regina vergine uscito da un nucleo.

La costruzione del nido

La costruzione del nido è simile a quella già descritta per la quercia: si inizia dal taglio della parete sul lato posteriore per farne una porta (grazie a Nathan per aver garantito un taglio dritto! Foto 1). In seguito si intaglia il vano nel quale saranno alloggiate le api (foto 3 e 4) (sostituendo il lubrificante della catena della motosega, normalmente olio minerale, con olio di oliva per non lasciare residui tossici per le api: foto 2)

 

 castagno1  castagno2

 

castagno3   castagno4   castagno5

 

Si intaglia un'assicella in modo che segua il perimetro dell'incavo per farne un coprifavo, si fissa una cornice sulla quale si fisserà il plexiglas che permetterà l'osservazione dell'attività dentro il nido. All'interno del nido, fissato al coprifavo, si sistema un pilastro centrale che contiene i sensori (foto 6) 2 sensori di temperatura e umidità; un terzo è sistemato all'esterno, sul lato nord, protetto dall'irraggiamento diretto del sole e isolato dall'eventuale calore accumulato e rilasciato dal legno), infine si intaglia un pannello isolante per ricoprire il vetro e minimizare le dispersioni di calore quando non si guardano le api (foto 7).

 

castagno6   castagno7

La costruzione è dunque del tutto simile a quella praticata nella quercia, ma ci sono alcune differenze fondamentali. In primo luogo, l'albero di castagno (che tollera molto bene la capitozzatura, tanto che essa era usata come antica tecnica di potatura per produrre paleria denuta al riparo dai denti di capre e cervi) è ancora vivo, a differenza del tronco di quercia. Queto significa che nel castagno continua a scorrere la linfa, che esercita un'influenza importante sulle proprietà termiche.

In secondo luogo, il castagno è più grande della quercia: il diametro a petto d'uomo è di quasi 250 cm (contro i 170 cm della quercia). Nonostante l'incavo in cui è ricavato il nido abbia un volume maggiore di quello della quercia (circa 60 litri, contro i 43 litri circa della quercia), lo spessore delle pareti tra 12-15 cm all'altezza del plexiglas, 15 - 20 cm nel punto più spesso delle pareti laterali, oltre 22 cm sul lato frontale) rimane maggiore nel castagno. Anche questo influenza favorevolmente le proprietà termiche.

Le proprietà termiche

Le pareti più spesse ovviamente aiutano a ridurre la dispersione di calore, in quanto la trasmissione di calore è inversamente proporzionale allo spessore della parete; occorre dunque aspettarsi che il castagno, coi suoi 3-5 cm di spessore laterale e frontale in più, sia più efficiente della quercia. Il tronco di castagno, inoltre, ha una massa nettamente superiore a quella della quercia. Dunque conserva meglio di quest'ultima il calore del sole che viene accumulato durante il giorno e che viene liberato durante la notte, e il calore prodotto dalle api all'interno.

La linfa aiuta ulteriormente ad uniformare le temperature: l'acqua, infatti, è la sostanza naturale con il maggior coefficiente di calore specifico (cioè la quantità di energia necessaria per aumentare la temperatura di 1°C per ogni grammo di materiale), così che il legno umido è un migliore accumulatore di calore rispetto al legno secco. Questo fenomeno non è equivalente alla coibentazione, che cosiste nel rallentare il passaggio di calore. Il calore specifico agisce assorbendo energia termica quando ce n'è in eccesso, e cedendola quando è carente. Di fatto, dunque, rende la temperatura più uniforme.

I grafici seguenti ci mostrano quanto è efficiente il tronco di castagno. Il primo riporta le temperature esterne e interne tra aprile e dicembre —almeno quando le batterie dei sensori erano cariche! La linea blu rapresenta le temperature all'esterno che, nei giorni di bel tempo, presentano un'escursione di una decina di gradi. Le linee gialla e rossa rappresentano le temperature registrate all'interno, senza api. Come si vede le oscillazioni sono molto più contenute: seguono l'andamento generale della temperatura esterna, e sono ovviamente più alte d'estate che d'inverno, ma presentano un'escursione giornaliera di 1.5 - 2°C

castagno T a vuoto lungo

 

Il secondo grafico mostra più in dettaglio le fluttuazioni registrate tra il 12 e il 13 agosto 2021. Oltre all'escursione molto ridotta (nelle proporzioni indicate in precedenza) è interessante notare che mentre all'esterno le temperature minime e massime sono raggiunte rispettivamente verso le 7.30 e le 16, all'interno la massima si registra alle 4 del mattino (cioè con 12 ore di ritardo rispetto alla massima esterna) e la minima verso le 9 del mattino

castagno T a vuoto 12 13 agosto 2021

 Il tronco di castagno fa dunque meglio del tronco della quercia, che mostrava oscillazioni giornaliere sui 5°C. E rispetto a un'arnia di legno? Il grafico seguente mostra le oscillazioni della temperatura esterna e interna in un giorno tipicamente invernale (nonostante fosse aprile) di tre arnie: una normale in legno, una in polistirolo, e una in legno ricoperto all'esterno con polistirolo (per trarre vantaggio sia dalla massa termica del legno che della capacità coibentante del polistirolo). Tutte le arnie hanno dei favi al loro interno, che contribuiscono parecchio a smorzare le oscillazioni [1]; il tronco di castagno e quello di quercia, per contro, sono stati misurati senza favi all'interno. Mentre nel giorno più caldo del grafico  (14 aprile) la temperatura esterna presenta un'escursione di 13°C (da -0.8 a + 12.3°C), l'arnia in legno coibentata oscilla di 11° (da +0.4 a 11.5°C), quella in polistirolo di 13.8°  (da -0.3 a + 13.5°C) —dunque approssimativamente come la temperatura esterna—, mentre l'arnia in legno fluttua decisamente più della temperatura esterna, con un'escursione di 17°C (da -0.5 a 16.4°C).

arnie in legno inverno

In un giorno estivo la situazione  è ancora peggiore. Il grafico seguente rappresenta le fluttuazioni di temperatura in giornate estive non particolarmente calde: il 2 luglio 2020 la temperatura ha raggiunto a malapena 30°. Sono rappresentati i dati di due arnie in legno: una col coprifavo vuoto, una col coprifavo coibentato con della lana. I sensori rilevano la temperatura tra i favi (che, di nuovo, smorzano le oscillazioni) a 12 cm di profondità, immediatamente sotto il coprifavo (misurando dunque la temperatura a contatto col legno) e uno dentro il coprifavo dell'arnia non coibentato.

La linea nera rappresenta la temperatura esterna, che nel giorno più caldo oscilla tra 15 e 30°C (si noti come l'escursione termica in un prato sia sistematicamente superiore di circa 5°C rispetto a quella nel bosco, con entrambi i sensori protetti dall'esposizione diretta al calore). Tra i favi, la temperatura dell'arnia con coprifavo coibentato oscilla tra 16.5 e 34.3°, mentre quella dell'arnia noi coibentata ha una minima di 16.7 e una massima di 36.1°C. Quest'ultima temperatura già chiede un intervento di raffreddamento alle api. La temperatura raggiunta dal legno del coprifavo sul lato del nido è di 40.3°C (abbastanza da sterilizzare regina e fuchi che incautamente si fermassero nei paraggi), mentre col coprifavo non coibentato il legno raggiunge 50.7°C, una temperatura sufficiente ad uccidere le api. Dentro il coprifavo non coibentato, la temperatura raggiunge 63.9°C. Tutto questo, ricordiamolo, con temperatura esterna massima a 30°

 

 arnie in legno temperature estive

Sia in estate che in inverno, dunque, il problema della termoregolazione del nido è nettamente più semplice in un tronco d'albero di quanto non lo sia in una scatola di legno.

 

 

Note

[1] D. Besomi, L'ape e l'architettura, L'apis, novembre e dicembre 2020, gennaio 2021 

api locali

 

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Favo caldo o favo freddo?

Il primo favo nella quercia, di cera immacolata, si è potuto intravvedere tra le api il 14 maggio, cioè 10 giorni dopo l'installazione dello sciame:

quercia favo 1

Qualche giorno dopo, il 18 maggio, ne è comparso un secondo, la densità delle api si è diradata, e l'estensione dei due favi è diventata visibile:

quercia favo 2    quercia favo 3

Le immagini mostrano che i favi sono quasi paralleli al vetro di osservazione, in una configurazione che gli apicoltori chiamano "a favo caldo" presupponendo che il favo più vicino all'entrata intercetti l'aria fredda proveniente dall'esterno e schermi i favi successivi, dunque mantenendoli più al caldo. Questa disposizione dei favi dovrebbe dunque favorire le api nel loro processo di termoregolazione, il che porterebbe ad aspettarsi che la selezione naturale favorisca le api che orientano in favi in parallelo all'entrata del nido.

Tuttavia, la colonia nel tronco di castagno porta immediatamente un controesempio. Per quanto la colonia fosse piccola, il 24 maggio (una settimana dopo l'inserimento della colonia) si poteva già vedere un abbozzo dei favi, appiccicati alla finestra di osservazione. Qualche giorno più tardi lo schema è diventato evidente: le api hanno costruito i favi quasi perpendicolari al  plexiglas, cioà —nel gergo degli apicoltori— "a favo freddo"

castagno favo 1  castagno favo 3  castagno favo 4

Questa non sembra essere un'anomalia. Thomas Seeley, probabilmente lo studioso che nella sua lunga carriera ha avuto modo di esaminare più nidi naturali, in risposta alla domanda di un partecipante ad una sua conferenza ha detto di aver visto favi puntare in tutte le direzioni rispetto all'entrata [1]. Questo dato è stato originariamente riportato dallo stesso Seeley con Morse nel loro resoconto sui nidi naturali rinvenuti nella loro ricerca nelle foreste di Ithaca: il piano di allineamento dei favi nei nidi naturali esaminati era distribuito casualmente sia rispetto all’entrata del nido che rispetto alla terra [2]. Gli autori ricordano che la questione era già stata esaminata col medesimo esito da UlrichLindauer e Martin avevano trovato che le api hanno una forte disposizione a mantenere l’orientamento rispetto all’asse terrestre del loro nido precedente. De Jong è partito da questa conclusione: ha rilocato sciami ‘selvatici’ in nuove strutture cilindriche dopo che avevano iniziato a costruire i favi, e hanno tutte costruito mantenendo il medesimo orientamento. Applicando un campo magnetico che riorientava, nel nuovo nido, i campi di forze, De Jong ha mostrato che le api riorientavano i favi in misura corrispondente, il che suggerisce che per decidere come orientare i favi le api usano proprio i campi magnetici,[3e non la direzione dell’apertura di volo.

Non si tratta, naturalmente, di una regola ferrea: le api nei due alberi hanno mantenuto grossomodo la medesima direzione di quella che avevano lasciato nel nido precedente, ma non l'hanno riprodotta con esattezza. Nell'arnia di partenza dello sciame nella quercia, i favi sono orientati a 207° in direzione sud-ovest, nell'albero a 268° sud-ovest; quindi, medesima direzione generale, ma una deviazione di circa 60°. Nell'arnia di partenza dello sciame nel castagno, l'orientamento è 146° sed-est; nell'albero, 169° sud-est: di nuovo abbiamo la medesima direzione, con una deviazione di poco più di 20°.

Una delle ragioni di queste deviazioni può risiedere nei vincoli architettonici che le api trovano nel cavo dei rispettivi alberi. Tre delle facce del nido consistono in pareti più o meno lisce e piane, e grossomodo perpendicolari tra loro, il che potrebbe suggerire alle api di muoversi parallelamente (o perpendicolarmente) a una delle tre facce dell'incavo. Nella quercia è difficile giudicare, non potendo vedere come si sviluppano i favi davanti all'ultimo che blocca la visione. Nel castagno, però, si vede che i favi sono grossomodo paralleli alla parete di destra (cioè sul lato dove hanno iniziato a costruire), risultano così quasi perpendicolari al plexiglas di osservazione (più precisamente, formano con quest'ultimo un angolo di 84°).

Occorre poi chiedersi se l'orientamento a "favo caldo" rifletta effettivamente una maggiore conservazione di calore. Ho effettuato 3 test su arnie a favo caldo e favo freddo, ottenendo risultati poco significativi o addirittura contraddittori.

Il primo test è stato quello di lasciare arnie con favi ma senza api esposti alle fluttuazioni della temperatura esterna, giorno e notte per diversi giorni durante l'inverno, registrando come queste si riflettono in fluttuazioni di temperatura all'interno [4]. Per un errore di design dell'esperimento sulle arnie Dadant, l'unico confronto utile riguarda due arnie Warré, che come i cavi degli alberi hanno uno sviluppo verticale su una base stretta, a differenza delle arnie Dadant che hanno uno sviluppo orizzontale su base larga; la sola forma contribuisce a dare un notevole vantaggio termico all'albero, a prescindere dal grado di coibentazione del materiale. Una delle arnie è a favo caldo, l'altra a favo freddo. Nelle giornate soleggiate invernali, l'arnia warré a favo freddo mostra un'escursione termica superiore di 2°C rispetto a quella dell'arnia identica ma con i favi orientati a favo caldo. Si ha dunque un leggero beneficio con il favo caldo.

Il secondo esperimento (dati non pubblicati) è consistito nel confrontare le temperature registrate all'interno dell'arnia in colonie di api collocate in nidi a favo caldo e a favo freddo. Poco sorprendentemente, misurando in due punti del glomere non sono risultate differenze di rilievo: le api, infatti, termoregolano, così che le temperature si comportano in modo simile. Quello che avrebbe potuto cambiare (ho scoperto in seguito [5]) è la distribuzione delle temperature (cioè, essenzialmente, il grado di compressione del glomere), ma non ho effettuato misure in tal senso.

Il terzo test ha misurato gli effetti di un riscaldamento posto all'interno di un'arnia, tra i favi.[6] Il riscaldamento era controllato da un termostato che permetteva l'accensione del riscaldamento a 31°C e chiudeva la corrente a 36°C, forzando così delle oscillazioni delle temperature registrate all'interno dell'arnia tra 31 e 36°. La maggiore efficienza energetica si misura nei tempi di riscaldamento e di raffreddamento: meno ci si mette a scaldare, e più tempo è impiegato nel raffreddamento, tanto più l'energia si conserva. Qui le differenze registrate tra un'arnia Dadant da 10T a favo freddo e un'arnia da 12T (ma con un diaframma a chiudere dopo la decima posizione) sono molto ridotte: riportando sulle 24 ore, il favo freddo risparmia circa il 2% di energia rispetto al favo caldo; la differenza probabilmente riflette più il fatto che il diaframma non chiudeva perfettamente, così che in realtà il volume da riscaldare era maggiore per l'arnia a favo caldo, con costi energetici superiori. Si tratta, insomma, di un risultato non conclusivo, che richiede di effettuare nuove misurazioni in una prossima occasione, impiegando una medesima arnia (da 12) con i due orientamenti.

Le differenze termiche tra arnie a favo caldo e favo freddo sembrano dunque (in attesa di nuovi dati) troppo sottili per essere convincenti. Non è dunque sorprendente che la scelta di una o dell'altra configurazione non sia stato un fattore di selezione naturale significativo quando le api possono scegliere tra cavità naturalmente ben coibentate. Questo non  esclude che in nidi artificiali poco coibentati e dalla forma sfavorevole anche un piccolo aiuto possa rivelarsi importante.

 

Riferimenti

[1] T. Seeley, The Bee Hive as an Information Centre, National Honey Show (2017), minuto 1:03:00.

[2] T. D. Seeley e R. A. Morse, The nest of the honey bee (Apis mellifera L.), Insectes Sociaux vol. 2:6, 23: 4, (495-512), 1976, p. 504.

[3] M. Lindauer e H. Martin, Magnetic effect on dancing bees, animal orientation and navigation, NASA US Government Printing Office, Washington, 1972, p. 564. D. De Jong, Orientation of Comb Building by Honeybees, Journal of Comparative Physiology A, 1982, 147, pp. 495-501. Per una discussione di questi aspetti si veda H. R. Hepburn, C. W. W. Pirk e O. Duangphakdee, Honeybee Nests. Composition, Structure, Function, Berlin: Springer, 2014, cap. 10.

[4] D. Besomi, L'ape e l'architettura, L'apis 1, gennaio 2021

[5] D. Besomi, La coibentazione dell'arnia. L'apis, giugno 2023, Dossier.

[6] Per una descrizione dettagliata della procedura e dei risultati, v. D. Besomi, La coibentazione dell'arnia. L'apis, giugno 2023, Dossier.

 

 

 

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