Rilevamento della temperatura invernale come indicatore dell'attività delle api

Durante l'inverno è spesso difficile controllare lo stato di attività delle api: spesso si raccomanda di non disturbare il glomere durante l'inverno, anche se in realtà con temperature superiori a 10° il glomere è molto rilassato e, se si sollevano i telai senza scrollarli, è possibile visitare la colonia senza fare danni. Eppure le informazioni che risultano da una visita sono importanti, in particolare riguardo allo stato della covata: la sua assenza permette di effettuare i trattamenti acaricidi, mentre la sua presenza indica che anche la varroa si sta riproducendo. Quando la covata è presente, inoltre, il fabbisogno energetico delle api quasi raddoppia,[1] con il conseguente maggior consumo di scorte.

Queste informazioni si possono ottenere in modo ragionevolmente affidabile anche senza bisogno di aprire l'arnia. La presenza di covata, infatti, comporta necessariamente che la temperatura del centro del glomere sia mantenuto praticamente costante attorno ai 32-34°C durante il tardo autunno e l'inverno, quando le api allevano le api invernali [2], e 34-36°C in primavera e in estate. È dunque possibile inferire lo stato della covata semplicemente a partire da misurazioni della temperatura (v. articolo Le temperature dell'arnia nel corso dell'anno).

Come ci si può fare un'idea precisa della presenza di covata?

Non è necessario disporre di apparecchi sofisticati: dei semplici termometri da acquario (costo circa 1-2 fr cadauno) accortamene inseriti nell'arnia, se letti con regolare frequenza, è possibile stabilire se la covata sia presente o no. Verso fine settembre si capisce abbastanza bene dove si situeranno le api per l'inverno: in posizione centrale o più facilmente spostate sul lato più caldo (solitamente verso ovest, a mano di configurazioni particolari del terreno o riflessi di calore dovuti a muri o simili), verso il lato anteriore dell'arnia (circa 10 cm verso l'interno), piuttosto in basso all'inizio dell'inverno poi, man mano che si mangeranno la strada verso l'altro, a circa 10 cm di profondità. È dunque sufficiente infilare 2-3 sensori dei termomentri a circa 15 cm di profondità, a spazi alterni fra i telai, e registrare i dati manualmente il mattino prima del sorgere del sole. Poiché la covata è deposta quasi sempre su entrambi i lati dei favi per sfruttare al meglio il calore prodotto dalle api, ogni termometro di fatto permette di monitorare due favi. Siccome raramente le api iniziano l'allevamento di larve sui telai periferici (se non in arnie moto ben isolate), non è necessario monitorarli. Quindi 2 sensori di fatto permettono di tenere sotto controllo 6 telai; se si sa dove le api posizionano il loro glomere, 2 sensori bastano. Viceversa, per prudenza è meglio inserirne 3.

Temperature basse (22-25° in ottobre, meno man mano che all'esterno diventa più freddo) assicurano che nei dintorni del sensore non c'è covata. Questo è un dato certo: se la temperatura è al si sotto di 30°C non può esserci covata, se non un residuo alla fine dello sfarfallamento. Se le temperature sono superiori a 30°, non significa necessariamente che c'è covata: la condizione per questo è che le temperature rimangano costanti, per cui occorre verificare per alcuni giorni. Solitamente temperature costantemente alte indicano la presenza di covata, ma occasionalmente alcune colonie mostrano di amare particolarmente un bel tepore al centro del glomere e mantengono temperature elevate. Ma con temperature interne sopra 30°C si può senza rischio aprire l'arnia in na giornata tiepida e verificare se la covata sia presente o no.

Il progetto

Proponiamo pertanto che gli apicoltori che hanno l'apiario vicino a casa controllino regolarmente (idealmente ogni 2-3 giorni) al mattino prima del sorgere del sole le temperature su 2-3 sensori nelle proprie arnie e annotino i risultati, in modo che a fine inverno possiamo farci un'idea dell'andamento della covata in diverse località del cantone.

Perché è rilevante?

Questo è rilevante per diverse ragioni, le principali delle quali sono legate alle modalità di trattamento invernale.

  1. Le raccomandazioni di Apiservice indicano di trattare non prima di novembre e al più tardi a dicembre con acido ossalico sgocciolato, a temperature inferiori a 5°C (cruciale per il funzionamento dello sgocciolato al dosaggio indicato per la Svizzera). Ma questo presuppone che si possa appurare con certezza (pena l'inefficacia del trattamento) l'assenza di covata, proprio in un momento in cui le temperature esterne devono essere basse e non si possono aprire le arnie: un'impasse! I termometri permettono di appurare se queste condizioni siano verificate oppure no.
  2. Un'indagine di apilugano di qualche anno fa, estesa su 3 anni e quasi 1'400 controlli manuali nelle colonie di circa 25 apicoltori, ha appurato che il momento in cui, nella regione del Luganese, è più probabile che non ci sia più covata è la fine di ottobre, e che già a metà novembre un 6-9% delle colonie aveva ripreso spontaneamente la covata. [3] Aspettare oltre per il trattamento, come suggerito da Apiservice, presenta un duplice danno: da una parte, la covata potrebbe riprendere spontaneamente, e i trattamenti corrispondenti sarebbero vanificati con la probabile conseguenza della perdita della colonia se non entro primavera, entro l'autunno successivo; in secondo luogo, quando le varroe sono sulle api si nutrono del loro corpo grasso, che è grossomodo l'equivalente del loro fegato: riserva di energia, e fabbrica delle sostanze che permettono alle api di combattere diverse malattie. È dunque raccomandabile trattare al più preso alla fine della covata (con i dosaggi appropriati di acido ossalico, come da indicazioni italiane in modo che la sua efficacia sia indipendente dalla temperatura).
  3. Questa indagine di Apilugano solleva un problema più generale. Se, in qualche modo, le api di Lugano costituiscono un'eccezione rispetto a qualche norma Svizzera, significa che aderire al concetto di norma è non solo privo di senso ma anche pericoloso per la salute delle api. In particolare, le api hanno peculiarità locali che vanno rispettate, e questo è esattamente lo scopo della nostra associazione: stabilire queste peculiarità. Il Luganese è un'eccezione anche rispetto al resto del Sud delle Alpi? Qualche indicazione suggerirebbe di no: dopo la pubblicazione di un articolo che riprendeva i risultati di questa indagine sul sito degli apicoltori di Sondrio, diversi apicoltori della zona prealpina italiana dal Nord Italia hanno commentato sul sito e scritto all'autore confermando questa peculiarità. È dunque utile stabilire con tutti i mezzi a disposizione (controlli manuali e controlli termometrici) se questa particolarità sia generalizzata nella Svizzera italiana per permettere di calibrare in modo corretto gli interventi terapeutici.
  4. Appurare, colonia per colonia, la data della ripresa della covata in primavera, permette di capire quanti giri di riproduzione sono a disposizione della Varroa prima del trattamento estivo, e quindi quanto velocemente potrebbe svilupparsi.
  5. La ripresa della covata indica anche il momento in cui il consumo di scorte si accelera significativamente.
  6. Sotto un aspetto più teorico, la conoscenza delle date di fine e inizio covata permetterebbe di correlare questo dato con i dati fenologici che ci apprestiamo a raccogliere: la cessazione e poi la ripresa della covata sono legate alle fioriture? L'unica eccezione sistematica nei risultati dell'indagine di Apilugano appartenevano a un apiario di Carona, ed erano probabilmente legate a particolari condizioni microclimatiche e botaniche della regione che assicuravano alle api la presenza di polline più a lungo che altrove.
  7. Un altro aspetto rilevante legato alle temperature è la reazione della api ai trattamenti con acido ossalico. In primo luogo, questi inducono aumenti della temperatura nei 4-5 giorni successivi al trattamento —aumenti che possono essere usati come indicatori del successo o meno del trattamento. In secondo luogo, talvolta la somministrazione di acido ossalico induce la deposizione e l'allevamento di un giro di covata[4]. Entrambi questi effetti sono rilevabili con dei semplici termometri. Un'indagine a largo spettro potrebbe permettere di determinare con quale frequenza questo accada, e se sia collegato alla modalità di somministrazione (sublimato, sgocciolato o spruzzato).
  8. Infine, si può evocare una rilevanza didattica. Il controllo della temperatura del glomere è una delle più evidenti manifestazioni dell'attività collettiva delle api mellifere. Seguire l'andamento delle temperature nel corso del tempo rende intimamente familiari con l'attività delle api anche quando non si possono vedere, ed ha dunque un elevato valore formativo, e induce alla riflessione non solo sulla biologia del superoganismo ape, ma anche sull'adeguatezza del nido che si mette loro a disposizione.

Che tipo di risultati possiamo aspettarci?

Mentre la maggior parte degli apicoltori sembra pensare che una volta cessata la covata in autunno le api se ne stanno a riposo fino a gennaio o febbraio (idea che sembra essere implicita anche nella procedura di trattamento suggerita da Apisuisse), in realtà le cose sono molto più complicate. Già negli anni '40-'50 e poi ancora '70 del secolo scorso alcuni studi hanno rilevato che la covata tende ad interrompersi e riprendere più volte nel corso dei mesi invernali.[5] Un'indagine termometrica condotta nell'inverno 2017-18 su una ventina di arnie nel Luganese [6] è giunta alla medesima conclusione (poi corroborata da altre osservazioni), come illustrato nella seguente figura, nella quale le linee rappresentano temperature costantemente al di sopra di 30°C, situazione compatibile (quando la durata è di almeno 21 giorni) con la presenza di covata:

covata nellapiario

 

Come si vede,

  • il periodo con meno covata è nella seconda metà di ottobre
  • la maggior parte delle colonie ha ripreso la deposizione nei primi 10 giorni di gennaio
  • Alcune colonie (nelle arnie numero 6, 11, 13, 14 e 21) hanno registrato temperature compatibili con riprese temporanee della covata in pieno inverno (senza apertura dell'arnia per conferma)
  • 3 colonie (1, 5 e 10) sembrano aver interrotto la covata solo per un breve periodo
  • le colonie che hanno seguito quanto si presuppone che facciano, cioè che hanno interrotto la covata per riprenderla alla fine dell'inverno, sono solo 10, meno della metà.

 Come procedere

I termometri si installano in modo molto semplice, aprendo un foro di 4.5 mm di diametro nel coprifavo, infilando il sensore, chudendo poi il foro con un po' di propoli o altro materiale per evitare la dispersione di calore. Il display del termometro resta nel coprifavo, mentre il sensore va infilato tra i favi in spazi alternati (la covata tende infatti ad essere disposta simmetricamente sui due lati di ciascun favo, per cui non è necessario avere termometri in tutti gli spazi), sulla parte anteriore dell'arnia, una decina di cm verso l'interno e a circa 15 cm di profondità. 

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Si tratta poi di registrare i dati su un foglio di calcolo secondo modalità indicate al momento dell'iscrizione al progetto.

 

 

Riferimenti bibliografici

[1] D. Besomi, La coibentazione dell'arnia. L'apis, giugno 2023, Dossier.

[2] J. Tautz, Il ronzio delle api, Springer, ed. italiana 2011, p. 239.

[3] v. le slides di presentazione dei risultati.

[4] D. Besomi, Effetti a breve termine dell'acido ossalico sulle api, L'apis 1, gennaio 2022.

[5] Edward P. Jeffree, Winter Brood and pollen in honeybee colonies, Insectes Sociaux, September 1956, Volume 3, Issue 3, pp 417–422. Bernard Möbus, ‘Brood rearing in winter’, in Apimondia, The XXVII-th international congress of apiculture. Athens, 1979, Bucarest: Apimondia, 1980, e ‘Brood rearing in the winter cluster’, in American Bee Journal, Luglio 1988. Per un riassunto dei due articoli si veda rispettivamente qui e qui.

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